08/06/16

Greta sul letto

Resto appoggiato alla parete a sbirciare tra le tende della finestra ma non è che ci sia poi tanto da vedere. Un anziano, anzi no, un vecchio ha gettato la spazzatura nel cassonetto infischiandosene degli orari consentiti e si allontana a passo incerto. Incrocia un ragazzino in divisa da basket con delle cuffie enormi che gli incorniciano il cranio. Ha un'espressione concentrata, come se dovesse imparare a memoria la canzone che sta ascoltando, mentre strattona il cane che tiene al guinzaglio, una grossa bestia dal pelo biondo. Non sono mai stato capace di identificare le razze canine, ad eccezione di un paio. Come gli alberi. Riconosco i cipressi. E i limoni, ma solo se hanno il frutto.
Quindi resto appoggiato alla parete con la testa voltata verso i vetri come se stessi ancora guardando fuori ma in realtà, di sottecchi, guardo lei.
Seduta, la schiena contro la testata del letto, la gamba nuda distesa sopra le lenzuola ingarbugliate, l'altra raccolta contro il corpo. La maglietta sformata le scende fino al grembo. Mi chiedo se si sia rimessa le mutandine. Una ciocca color miele le sfiora una guancia e si arriccia a un angolo della bocca, la sposta con un brusco movimento del capo ogni volta che porta la sigaretta alle labbra. Con l'altra mano regge il telefono, non smette di fissarlo e ogni tanto emette una breve risata che disegna nell'aria una nuvoletta di fumo.
Quando penso che stia per alzare gli occhi dallo schermo distolgo lo sguardo per non farmi sorprendere e torno a guardare in strada per qualche istante.
Ho un gomitolo nella pancia. Lo sento ingarbugliarsi sempre più ogni secondo che passo a guardarla. Mi tira da una parte, vorrebbe farmi aprire la finestra per fare entrare un po' d'aria, qui si soffoca, o magari farmi saltare giù. Non mi farei niente, anche se siamo al secondo piano. Atterrerei in piedi e comincerei a correre. Ma all'altro capo della matassa nella mia pancia c'è un'ancora che si è incagliata da qualche parte e non riesco a muovermi e non voglio muovermi.
Vaffanculo, odio tutto questo.
Adesso le chiedo cosa sta guardando su quel cazzo di telefono. Adesso le canto una canzone sperando che non la conosca. Adesso dico il suo nome. Adesso le racconto quella della senatrice e del salumiere. Adesso cito Camus. O Rino Gaetano. Adesso mi metto a piangere disperatamente come quella volta in cui mio cugino scoppiò il mio Tango nuovo. Adesso le chiedo se ha mai visto Irma la dolce oppure le chiedo di sposarmi. Adesso le dico quanto mi sta sul cazzo.
Adesso dico il suo nome.
Alza gli occhi, mi ha beccato. Sorride mentre si allunga per spegnere la sigaretta in un piattino sul comodino. La maglietta si alza, ho la mia risposta. Schiaccia il mozzicone poi torna a guardarmi.
Allunga una mano nella mia direzione. Quindi la chiude a pugno. Non capisco.
Il suo dito medio scatta come una lama di un coltello a serramanico.
Mi mostra i denti in una risata silenziosa.


- Ti odio.

05/09/14

Gli psicologi hanno tutti la figa


Ma dove sono finiti gli psicologi uomini? Che io conosco un sacco di psicologi femmine, che per comodità chiameremo psicologhe, e nemmeno uno maschio.
Che se uno di un istituto di ricerca di, mettiamo, Torino, mi telefonasse a casa e dicesse: “Salve, sono Mario dell'Istituto di ricerca di Torino. Potrebbe concedermi due minuti del suo tempo per rispondere a qualche domanda sul sesso degli psicologi?”, io risponderei: “Certo Mario, mi interessa molto l'argomento, sono a sua disposizione.”
“Grazie. Tra tutti gli psicologi che lei conosce personalmente, facendo una stima approssimativa, che percentuale è di sesso maschile?”
“0%”.
“Ha detto zero?”
“Sì, zero percento”.
“Bene. E, sempre facendo una stima approssimativa, che percentuale indicherebbe come di sesso femminile?”
“Uhmmm, mi faccia pensare un attimo... Direi il 99%”.
“Novantanove? Ne è sicuro?”
“Ce n'è una che ha un po' di baffetti... No, sa cosa le dico Mario? Segni 100. Cento percento”.
“Benissimo, 100. La ringrazio per il suo tempo.”
“Di nulla. Però Mario...”
“Sì? Mi dica.”
“Io al posto suo, comunque, chiamerei anche qualcun altro, ché magari ce n'è di maschi, solo che io non ne conosco.”
“No, ma infatti era proprio questa la mia intenzione.”
“Ah, apposto allora. La saluto.”
Non vorrei essere io a far sballare la statistica ma per quanto ne so ormai esistono solo psicologhe. E non so se è un bene. Tutte bravissime eh, ma prendiamo il caso particolare di un tizio. Lo chiameremo Sigmund, in onore di coso, lì, come si chiama... Sigmund Haringer, difensore del Bayern Monaco dal 1928 al 1934.
Sigmund è stato appena mollato dalla fidanzata, Greta. È disperato, non esce più di casa, ascolta Umberto Tozzi, ascolta Cocciante, fa molti pensieri brutti e non solo a causa della musica che ascolta. Gli amici dicono: “Dai Sigmund, ci sono tanti pesci nel mare” che è una di quelle frasi del cazzo che si possono accettare solo da un cameriere, durante un pranzo al ristorante.
“Scusi, c'è la sogliola?”
“No, mi spiace. Ma ci sono tanti pesci nel mare. Ed infatti oggi abbiamo la spigola.”
“Ottimo, me ne porti una.”
Un altro amico di Sigmund, Carl Gustav, un tipo più pratico, lo chiama: “Forza Sigmund, devi scuoterti! Stasera usciamo. Andiamo a puttane.”
Ma Sigmund sta troppo male, non se la sente, e poi ha solo trenta euro con cui deve tirare fino lunedì.
Soffre Sigmund, deperisce e finalmente un giorno si guarda allo specchio e capisce che ha bisogno di aiuto. Un aiuto professionale.
Cerca “Psicologo” sulle pagine gialle. Oh, ce ne fosse uno maschio.
Vabbè, si dice, proviamo questa.
Così Sigmund entra in cura dalla dottoressa Inga ed all'inizio è tutto un Greta di qua, Greta di là, io non ce la faccio, io mi ammazzo.
E la dottoressa Inga, Ma no Sigmund, vedrai che ce la fai, vedrai che non ti ammazzi, ci rivediamo martedì alle 17.
E così per settimane, poi mesi, finché Sigmund non comincia a parlare sempre meno di Greta e sempre più di altri problemi, di altri pensieri, di sé stesso, e la dottoressa Inga, con le gambe accavallate, annuisce e scrive. Tanto che un bel giorno Sigmund si rende conto che Greta quasi non la ricorda più, anzi, se ne sbatte proprio il cazzo. E la dottoressa Inga gli dice: “Sigmund, sei guarito.”
E Sigmund, con gli occhi lucidi, dice: “Grazie! Grazie infinite! Dottoressa, finalmente posso dirglielo. Posso confessare!”
“Cosa Sigmund?”
“Inga, io ti amo!”
“E no Sigmund, non è possibile, mi spiace. Deontologia professionale.”
“Ma... ma io ti amo Inga! Io non posso più vivere senza di te.”
“Ascoltami Sigmund, quello che credi di provare è solo un costrutto della tua psiche, una normale reazione a un rapporto prolungato, un comunissimo transfert. E poi, tra l'altro, a me piacciono le donne.”
“Ma...
“Tieni, ti do il numero di una mia collega che può esserti d'aiuto, la dottoressa Hilde. Chiamala appena torni a casa.”
E invece appena torna a casa Sigmund chiama Carl Gustav e vanno a puttane.

04/09/14

Jesus, etc.

Ci sono delle volte in cui mi trovo in auto, vicinissimo a casa e parte una canzone bellissima. Arrivo al cancello automatico, premo il tasto del telecomando, entro nel parcheggio e mi infilo al mio posto. E c'è la canzone bellissima che va ancora. E quello è un problema. Spengo il motore ma non giro completamente la chiave ché altrimenti si spegne anche l'autoradio e io non posso spegnere l'autoradio finché c'è la canzone bellissima che va. No, io resto seduto nell'auto ferma, che sia notte o giorno, e aspetto che la canzone bellissima finisca. Allora sì, sono libero.
Ad esempio oggi, arrivo al cancello e parte "Jesus,  etc." dei Wilco, che non è una canzone religiosa, ma è una canzone bellissima che parla di due persone che si amano nonostante lei usi metafore insensate e a lui questa cosa non vada del tutto giù, ma siccome in fondo la ama le dice "No, non piangere, guarda, hai ragione tu, le stelle sono soli che tramontano, anzi, stai a sentire..." e comincia a dire una serie di metafore che non stanno né in cielo né in terra e allora si capisce che è amore vero. Che sono secoli che i poeti si sbattono per farci capire cos'è l'amore e va a finire che è una metafora sbagliata, vabbé.
Insomma, si apre il cancello, parte la canzone e appena la riconosco so che non potrò mettere piede a terra finché non sarà finita.
Spengo il motore. Sul tetto della macchina a fianco alla mia, una vecchia 2cavalli semiabbandonata, riposano mamma gatta e figlio. Questi gatti stanno sempre in zona a sonnecchiare e mi stanno un po' antipatici. A volte decidono di sdraiarsi proprio nel bel mezzo del mio posto riservato e anche se il veicolo si fa incombente loro non si spostano, restano lì a sfidarmi con una raffica di sbadigli. Allora devo scendere dall'auto e andargli incontro minaccioso emettendo rumori sconosciuti in natura, così capiscono che il posto è riservato e si tolgono dalle palle. Ecco perché questi gatti mi stanno quasi sempre antipatici.
Comunque, ho parcheggiato, ho spento il motore e sul tetto della 2cavalli stanno i due gatti sdraiati, dandomi le spalle. Il micio, che stava accoccolato sulla madre, si sveglia, alza la testa e si guarda intorno, si gira di qua e di là. Poi finalmente mi vede, dietro al finestrino. Ci guardiamo negli occhi. Il micio ha il respiro accelerato, mi sa che non si aspettava di vedermi lì.
"Jesus, etc." riempie l'abitacolo, io e il gatto continuiamo a fissarci negli occhi. A poco a poco il suo respiro rallenta e forse anche il mio. Oggi non mi sta antipatico, sarà la musica. Sembra quasi normale stare così, pupille nelle pupille e aspettare che i Wilco finiscano di dire quello che hanno da dire, che sono cose bellissime, fidatevi. Il micio si rilassa così tanto che in un paio di occasioni fatica a tenere gli occhi aperti, pare quasi stia per addormentarsi. Poi però li riapre e me li riappiccica addosso, forse non si fida. Stiamo così, fermi, per un'eternità, che poi non è vero perché la canzone dura poco meno di 4 minuti.
Arrivano le note finali, il micio si volta e torna ad accomodare la testa sul fianco della madre. Mi ha già dimenticato.
La canzone bellissima evapora. Spengo la radio. Però non riesco ad aprire lo sportello e scendere. Non so bene perché. Oltre il parabrezza c'è solo un muretto di cemento grigio e più in là solo palazzi di merda, non c'è mica qualcosa di bello da vedere. Però devo restare lì ancora un po'.
Poi, alla fine, ce l'ho fatta.

01/03/12

notte

Sto seduto in una panchina, di notte, in un posto in cui non dovrei stare se avessi un po' di buon senso. Ma non ce l'ho, mai avuto. Sono solo stanco.
Nemmeno so come ci sono arrivato.
La città dorme o così sembra. Ogni tanto si lamenta o urla nel sonno.
Sono in una piccola piazza, buia e sporca. Al centro c'è una brutta fontana con dell'acqua stagnante. Al fianco della piazza scorre un lungo viale che scende dolcemente. Le due file di luci convergono fino a mischiarsi in lontananza. Le luci nei palazzi sono spente. Anche le stelle.
Sento un po' freddo.
Non voglio pensare a niente. Voglio solo guardare il buio. Che il buio mi risucchi i pensieri. Che il silenzio li metta a dormire.
Ma forse non c'è abbastanza buio.
Dei gatti si azzuffano da qualche parte. Tra i palazzi si fa largo la luce lampeggiante di un camion dei rifiuti.
Non c'è mai abbastanza buio, nè abbastanza silenzio.
Non si è mai abbastanza soli.
Grazie a dio.

24/02/12

L'impunità dell'anzianità

Io sono uno che maledice ogni suo compleanno. Per questa infausta occasione solitamente mi lascio scivolare in una calda e accogliente depressione, mi vesto a lutto e faccio sopralluoghi nei cimiteri per scegliere una possibile sistemazione per il mio eterno riposo. Spesso mi trovo a contrattare con gli altri visitatori per ottenere in subaffitto un loculo panoramico. Con poco successo. I parenti dei defunti sono in larga parte gente senza il minimo fiuto per gli affari e molto permalosa. Prendono il possibile trasloco del loro caro estinto come un'offesa personale.

Ma non è di questo che voglio parlare, bensì dei vecchi.
I vecchi sono i veri ribelli e a loro tutto è concesso. Ne ho avuto l'ennesima riprova oggi, quando ne ho incrociato uno in parco intento a tagliarsi le unghie. A me non è mai venuto in mente di tagliarmi le unghie seduto su una panchina pubblica, sotto un placido sole e gli sguardi partecipi dei gabbiani, eppure sembra un ottimo posto per farlo (cos'è che non va in me?)! Il rozzo vecchietto, completamente concentrato nell'opera di manicure, non sembrava curarsi del mondo intorno e delle pallottole vaganti che ogni clunk del suo tagliaunghie sparava nelle vicinanze. Guardavo con inquietudine bambini rincorrersi e giocare senza un pensiero al mondo, immaginando schegge di unghie schizzare verso di loro a folle velocità e conficcarsi nei loro innocenti bulbi oculari, privandoli per sempre della vista.
L'ultima cosa che vedranno sarà l'unghia di un vecchio, pensavo.

Siamo soliti compatire gli anziani, concentrandoci esclusivamente sugli aspetti negativi della loro condizione e ci dimentichiamo dell'incredibile libertà che gli è concessa.
A queste mummie cazzute non frega niente di niente. Possiamo solo invidiare la sfacciataggine con cui i loro occhi lascivi si incollano sui sederi di ogni esemplare femminile di passaggio, fissi e imperturbabili anche quando vengono colti nell'atto. Solo la loro miopia interromperà quel contatto.

Vanno in giro cantando con voce impostata, gradevole come i lamenti di mille gatti in calore, antichi successi del peggio della musica italiana e nessuno sembra farci caso (al massimo solo qualche coraggiosa richiesta di bis si ode levarsi da supporters timidi, mimetizzati con l'arredo urbano).

E le donne, con il vigore dei loro capelli psichedelici che ormai abbiamo imparato a conoscere, segretamente godono della lentezza e l'indecisione con cui svolgono ogni benedetta operazione in qualsiasi contesto della vita civile, si tratti delle Poste, del panettiere o dello spacciatore del quartiere, generando code che fanno impallidire quelle delle autostrade agostane.

E poi, gli impavidi anziani, possono dire quel che vogliono senza temere ritorsioni. Un arzillo vecchietto può fartisi sotto elencando meticolosamente le virtù amatorie di tua madre e tu non puoi farci niente. Perché non si picchiano gli anziani. A meno che non stiano in un ospizio. O a meno che tu stesso non sia un anziano.

Tutto questo per dire che, nonostante il malessere che accompagna l'inarrestabile trascorrere del tempo non mi abbandoni mai, adesso guardo con più fiducia al lontano futuro. Un futuro in cui le mie unghie compiranno parabole mirabili, su verso l'azzurro del cielo e giù negli occhietti dei bimbi felici.

23/02/12

E adesso pedala...

Va bene, d'accordo. Vediamo se mi ricordo ancora come si fa. Batto sui tasti e vengono fuori delle parole. E tutte in fila danno vita a delle frasi. Che non abbiano molto senso non ha importanza, è solo per vedere se sono ancora capace. Come andare in bicicletta. Fa niente se non vincerò mai il Tour o il Giro, almeno faccio un po' di moto e guardo il paesaggio.
Guarda già quante righe, non è poi così difficile. Magari un giorno riuscirò anche a dargli un significato più ampio. E goderne. Mi ricordo quando battere su questi tasti mi faceva felice. Anche se non erano proprio questi tasti, ma non è questo il punto.
Questo è il punto.
.
Questo movimento delle dita può ancora darmi felicità? Intendo questo carezzare e picchiare i tasti, non una strana forma di auterotismo digitale (nel senso di dita).
Ecco mi perdo, non sono ancora pronto. Devo restare sul semplice, pensare in piccolo. Formare delle parole. Ammucchiarle in frasi. Annerire questo bianco. Ritrovare il ritmo.
Anche solo il rumore è bello, un tasto dopo l'altro, clic clic clic. Magari un giorno riuscirò anche a comporre una melodia con questi clic. Ma non oggi. Non ora.
Ora è solo questione di ritmo.
Di sciogliere i muscoli.
Di ricominciare.
Pedalare piano e guardare il paesaggio.

19/06/11

Incurabili


Marisa. Un grave incidente con una pinzetta le ha provocato una totale paralisi delle sopracciglia. Condannata a vivere con questa immobilità, non si è data per vinta e a sfruttato la sua limitata espressività diventando una giocatrice di poker professionista.

Cosimo. Da 17 anni combatte con un'unghia incarnita in alluce. Ciò non gli ha impedito di diventare campione olimpico di lancio del gavettone.

Carlotta. Unendo i nei che le ricoprono la schiena appare l'immagine di Padre Pio. O di Sean Connery. La devozione dei fedeli del Santo e di 007, che toccano e baciano la reliquia cutanea, rischia però di rovinarle per sempre la pelle.

Fausto, nato con tre palle. Dopo innumerevoli relazioni fallimentari ha finalmente trovato l'amore con un giocoliere.

Renato. Dopo aver ascoltato una barzelletta su una mela che sa di fico ha perso completamente il senso dell'umorismo. Quando i rimedi tradizionali non hanno sortito alcun effetto, Renato ha deciso di ricorrere a un trapianto, scoprendo con orrore soltanto dopo l'operazione che il donatore era Jerry Calà. Adesso Renato vaga per le spiagge di Rimini molestando le bagnanti. E' vera libidine coi fiocchi la sua?

Giorgio e Alberto, due gemelli siamesi uniti per le basette.


Questa sera, su Itaglia Zero.