27/09/07

Ai miei tempi


A un certo punto i Nostri Tempi non sono più nostri, non sono più tuoi. A un certo punto ti guardi in giro, guardi quelli, i giovani, e cominci a pensare "Ai miei tempi..." E sebbene hai sempre sospettato che prima o poi sarebbe successo, di certo non immaginavi che il momento sarebbe giunto così presto.
Per me è arrivato da un bel po', ma non so di preciso quando. Forse si comincia con i cartoni, che "Ai miei tempi sì che c'erano bei cartoni, non queste cazzate che vedete ora, i porkemon, gli yougurt-oh, i dragonboh. Ai miei tempi c'erano i Tigerman e i Devilman che facevano vedere il sangue, capito bambocci?"
Che se fosse venuto uno, ai miei tempi, a dirmi queste cose, probabilmente avrei pensato: "E sticazzi". I bimbi di oggi no. Mi guardano in silenzio e mi ascoltano. Poi mi pestano, mi danno calci in faccia con le crocs. Mi fanno vedere il sangue, come Tigerman. I bimbi di oggi si vestono alla moda. A me, da bambino, i vestiti li compravano la mamma o la nonna. I maglioni li facevano a mano. E io li indossavo. Andavo in giro avvolto in arazzi settecenteschi, ché mia madre si sentiva creativa. Quando giocavo a nascondino gli amichetti mi vedevano a centinaia di metri di distanza. I bimbi di oggi hanno il consulente d'immagine. Potrebbero apparire sulla copertina di una rivista patinata. E ci entrerebbero a grandezza natuale. Non capisco mai se sono bambini o dei trentenni nani. Li vedo passare in gruppi rumorosi e vivaci, ricoperti di firme, di D&G, di Richmond, di Frutta (non omogeneizzata), mentre picchiettano sui loro cellulari-prototipo e tirano marlboro, diretti a scippare e stuprare una vecchietta o a dar fuoco ad un barbone, e, con un misto di paura e ammirazione, mi mimetizzo con il muro grigio di un palazzo, favorito dai miei abiti Oviesse. Ai miei tempi con gli amici ci si ruzzolava nel fango, si giocava a pallone, ci si ruzzolava nel fango, si correva in bici, ci si ruzzolava nel fango, si giocava a guardie e ladri, ci si ruzzolava nel fango, mentre le bambine preparavano tortine di fango per quando avessimo finito di ruzzolarci nel fango. E se qualche giorno fiacco si stava un po' tranquilli a fare i compiti e a guardare la televisione, mia mamma arrivava e diceva: "Basta tv, ora vai fuori a rotolarti nel fango!". Ovviamente non quando indossavo il maglione con la riproduzione de L'Ultima Cena.
Poi, un po' più cresciuti, con gli amici si usciva a passeggiare in Centro. A piedi, che ai miei tempi le macchinine ultra-lusso da 15000 euro per i non-patentati non c'erano. Magari capitava di veder passare delle scatolette orribili, sfigatissime, guidate da ultracentenari o da tizi a cui avevano fatto a coriandoli la patente, che non potevi fare a meno di indicarle e gridare "Ah ah!". No, noi uscivamo a piedi e andavamo a comprare roba all'Upim o alla Standa, che di entrare in un negozio, quelli con i commessi che ti sorridono e agognano serviriti in tutto e per tutto, non ci passava nemmeno per la testa. E compravamo pacchi di mille magliette Fruit of the Loom, 300 magliette 5000 lire, me ne son cadute 50 in più signo', che faccio, lascio? E i jeans James Dillon, la cui etichetta recitava "Questo jeans si autodistruggerà entro 30 secondi", e i bidoni di gel made in Chernobyl che hanno annientato le capigliature delle migliori teste della nostra generazione.
E le Converse All-Star.
Qualche anno fa ho ricomprato un paio di Converse. Erano tornate di moda, dopo che per anni parevano estinte. Poi ho scoperto che la casa è stata acquisita dalla Nike. Ho comprato le mie solite Converse, quelle blu, pagate cinque volte di più che ai miei tempi. Andando in giro con le mie nuove Converse ai piedi mi sentivo in colpa. Incrociavo ragazzini e ragazzine ricoperti di firme e con le Converse ai piedi e realizzavo di avere le scarpe alla moda. Le Converse, tra le più scomode mai create grazie alla suola ultrasottile (ma come cazzo facevano a giocarci a basket?), con il loro eterno e inestinguibile puzzo di copertone bruciato, fatali in caso di pioggia, che si scollano, si bucano e si strappano sempre lì, nel solito punto, a metà del lato interno, proprio dove la scarpa si piega quando si cammina. E 'sti ragazzini, 'sti modelli in erba, giravano con le mie stesse scarpe. Ed io pensavo: "Ma che cazzo ne sapete voi, che ai miei tempi queste scarpe, qui da noi, non le cagava nessuno, che costavano 30mila lire alla Standa, e voi manco sapete che c'era la Standa e tra un po' vi scorderete pure della lira e delle Converse, ma io delle Converse non me ne scorderò mai!".
Così ogni volta che le guardo, che le calzo, che le allaccio, che sento un copertone bruciare, penso ai miei tempi. E a quanto cazzo ho pagato 'ste scarpe di merda.

24/09/07

Sono uno scrittore

In quel periodo non mi riusciva di scrivere niente. Non è che mi mancassero del tutto le idee, ma non ero in grado di poggiare la penna su un pezzo di carta o le dita sulla tastiera, sebbene tutti gli arti funzionassero alla perfezione. Far apparire quelle maledettissime lettere sul foglio bianco mi costava una fatica enorme, neanche fossi un prestigiatore dilettante alle prese con il trucco di magia più difficile al mondo.
Le idee c’erano, sì, ma per la gran parte erano sciocche e le facevo fuori senza pensarci troppo. Sulle altre, le sopravvissute, rimuginavo così tanto che poi mi sembrava non valesse più la pena di metterle su carta. Le tenevo a cuocere sul fuoco così a lungo che finivo per bruciarle e buttarle via.
Insomma, avevo una gran fame e la dispensa era vuota.
Era un bel pomeriggio di fine settembre e decisi di andare alla spiaggia per schiarirmi la mente. Presi una penna nuova ─ a mio parere non c’è niente di più allettante per uno scrittore dello sverginare una bella penna ─ e un vecchio quaderno quasi immacolato. Anni prima vi avevo scritto quelli che sembravano essere dei testi per canzoni, in inglese, sebbene non avessi una band, fossi stonato come una campana e la mia padronanza dell’idioma d’Albione si riducesse a una serie di parole sconnesse apprese a scuola, utili per chiedere indicazioni su come raggiungere Piccadilly Circus se mai mi fossi smarrito a Londra. Da Piccadilly, poi, sempre dritto.
Leggendo quelle rime imbarazzanti mi venne voglia di stendermi a letto e abbracciare il cuscino, ma resistetti.
In spiaggia non c’era nessuno, eccezion fatta per alcuni pescatori dilettanti occupati a sfamare la fauna marina e un tizio a torso nudo, flaccido, che ci dava dentro con flessioni e addominali. Faceva delle brevi serie alternate a lunghissimi recuperi, spalmato sulla sabbia come una medusa.
Mi incamminai per il lungomare. Dall’altro lato della strada passeggiava una ragazza, sola, con l’aria di chi è assorto nei suoi pensieri.
Io non lo ero. Mi distraggo facilmente, ho una concentrazione inferiore a quella di un bambino costretto in casa a studiare mentre fuori sfila il circo con tanto di elefanti, scimmie musiciste e donna barbuta.
Guardavo il mare azzurro e calmo, cercando di mettere a fuoco la storia per un racconto, ma tutto ciò a cui riuscivo a pensare era quanto fosse azzurro e calmo il mare. Ogni tanto qualche patito dello jogging mi superava e io ne fissavo la schiena finché non spariva dietro la curva, un centinaio di metri più avanti, constatando con un certo stupore quanta poca gente ci sia al mondo capace di correre nel modo corretto. Ad esempio quel mio compagno del liceo che ad ogni passo sembrava stesse per lanciarsi in un triplo carpiato con avvitamento, tuffo dall’elevato grado di difficoltà, soprattutto se effettuato sulle ruvide mattonelle del cortile della scuola. Era molto più versato nel divorare dolciumi. In quegli anni abbiamo consumato centinaia di granite, al bar vicino scuola. Mi andrebbe proprio una granita, pensavo, se non fosse per questo fastidio ai denti. Dio, non posso nemmeno bere dell’acqua tiepida senza avvertire fitte di gelo nelle gengive e sentirmi come Leonardo Di Caprio in Titanic. La scena in cui era a mollo nell’Atlantico, non quella in cui si faceva la rossa. Che tette. Che belle le rosse. Che belle le tette. Perché, poi, non si sa, è solo grasso. A me non piacciono i grassi. Le persone grasse. Sessualmente intendo, non ho niente contro le persone grasse in quanto tali. È solo che non ci andrei a letto. Vabbè, mai dire mai. Anche perché sto mettendo su pancetta. Chi l’avrebbe mai detto. Dovrei darmi una mossa, fare jogging… no, correre, meglio. Jogging sembra uno di quei termini da siti porno. Sexycheerleadersfuckingandjogging.com. Preferisco correre. In spiaggia magari. È più dura ma diminuisce i traumi alle articolazioni. Lo so perché Ronaldo si allena così. Anche lui ha la pancetta. Scommetto che Ronaldo non ha mai mangiato una granita. Una Vera Granita. Se ingrasso piacerò ancora alle donne? O meglio, se ingrasso piacerò mai alle donne? Mah… Comunque anche i grassi scopano. Prendi John Belushi. Non nel senso di riesumarlo. Prendi ad esempio John Belushi… Se la spassava. Però poi è morto. Che comunque moriremo tutti. Che senso ha tutto questo? Che diavolo ci facciamo qui?
─ Che cazzo di senso ha?!
Nessuno. Vita di merda. Una bella granita al caffé, ecco cosa ci vorrebbe…
Il sole si faceva sentire, mi faceva sfrigolare il cervello come una padellata di fritto misto. Decisi di attraversare la strada e cercare un posto dove riposare sul lato opposto alla spiaggia. L’ombra mi fu subito di giovamento e riuscii a concentrarmi sul racconto. Era la storia di questo tizio che doveva fare questa certa cosa e per farla doveva andare in quel posto. A mettergli i bastoni tra le ruote però c’era quest’altro tizio che ce l’aveva con lui per via di quella tizia che… Gli americani hanno fatto un film con questa trama, ma io l’avevo pensata prima, giuro.
Finalmente trovai una panchina al riparo dal sole e mi accomodai. Il marmo era piacevolmente fresco sotto il sedere.
Quasi non feci caso alla ragazza.
─ Mi stai seguendo?
Girai appena la testa, curioso di sapere con chi ce l’avesse. Trasalii incontrando il suo sguardo fisso su di me, oltre il fumo della sigaretta da cui stava prendendo una lunga boccata.
─ Scusa? ─ dissi, accennando un sorriso imbarazzato.
─ Sono stufa. ─ mi comunicò, ─ Stufa di tipi come te.
Ovviamente mi sfugge qualcosa, pensai. Ovviamente non fa sul serio.
─ Vorrei davvero capire una buona volta cosa vi fa credere che seguire e abbordare una ragazza per la strada possa funzionare.
Faceva sul serio.
─ No, senti…
─ Del resto se lo fate significa che con qualcuna funziona. Giusto?
Alzai le spalle, improvvisamente incapace di articolare suoni sensati.
─ Qual è la tua battuta?
─ Come?
─ Dai, la tua frase di aggancio, la battuta d’apertura, quella che avresti detto se non avessi mandato all’aria i tuoi piani.
Non era particolarmente bella. Il naso leggermente ingobbito e gli occhi piccoli contrastavano con la forma arrotondata e dolce del viso. Mi chiesi se davvero era stata infastidita così di frequente, al punto da riconoscere in ogni passante un possibile molestatore.
─ Ti stai sbagliando. ─ dissi cercando di rassicurarla. ─ Io sono qui per scrivere.
─ Scrivere?
─ Sì. Sono uno scrittore.
Rise, dei suoni brevi e aspri, aghi pungenti sotto la carne. Diede un altro tiro alla sigaretta, scuotendo la testa con espressione divertita. Quindi soffiò fuori il fumo e le parole.
─ Te lo concedo, questa era originale. Quasi mi dispiace aver rovinato tutto.
─ Ascolta, non mi interessa se mi credi o no. ─ Tentai di dissimulare la stizza dietro un sorriso poco convinto. ─ Non ti stavo seguendo, punto e basta.
Mi scrutò, titubante, per alcuni secondi.
─ E cosa scrivi?
─ Racconti… anche altra roba…
Sembrava che avessi finalmente fatto breccia tra le sue sconclusionate convinzioni e fosse disposta a concedermi il beneficio del dubbio. Drizzai la schiena e sostenni sicuro il suo sguardo.
─ Oh, bello… ─ disse. ─ Posso vedere? ─
Indicò il quaderno che torcevo tra le mani.
Perché stavo torcendo un quaderno tra le mani. Lo vedevo bene, a pochi centimetri da me, sentivo la superficie liscia della copertina sotto i palmi. Conteneva dei testi per canzoni, strapieni di love, dream e baby. E anche una rima unica al mondo: sex e Tex. Sì, lui, il ranger. Ma non è come sembra.
Mi sentii avvampare.
─ No… cioè, non c’è niente qui…
─ Niente?
─ No, non ho ancora cominciato…
Si mise a ridere, davvero divertita stavolta. Gettò il mozzicone di sigaretta sull’asfalto. Poi si alzò e mi rivolse un’ultima occhiata beffarda.
─ Sai, è incredibile, anch’io sono una scrittrice! E’ vero, non ho mai scritto niente, però… Spero proprio che non stiamo non scrivendo la stessa cosa.
Prese a camminare, lasciandomi lì come un fesso. Non poteva andarsene via così, dovevo dirle qualcosa.
─ Sono uno scrittore! ─ urlai.
Lei fece un gesto con la mano, come fossi una mosca da scacciare, senza girarsi indietro. Continuai a guardarla finché un tizio ansimante mi passò davanti correndo, interrompendo il contatto.
Guardai il mare. Era azzurro e calmo.
Dovevo scrivere qualcosa, qualsiasi cosa. Infilai la mano in tasca ma non trovai niente. La penna, la mia penna vergine, non c’era più. Balzai in piedi e mi frugai dappertutto, senza successo. Cercai ovunque, sulla panchina, in terra.
Poi tornai a sedermi.
Dovevo dire qualcosa.
─ Sono uno scrittore. ─ mentii.

22/09/07

Save the planet

Quanta lanugine ci sarà nell'ombelico del mondo?

20/09/07

Batfag and Spidergay

Non sarò mai abbastanza grato ad HK per avermi fatto scoprire Superdickery, sito che ospita una vasta e meravigliosa raccolta di cover e vignette di comics così assurde e imbarazzanti da non sembrare vere. Ma, dio sia lodato, lo sono!
Non potrete rimanere indifferenti al cospetto di certe sconvolgenti rivelazioni. Come quella che Superman è un superstronzo, che Wonder Woman pratica con passione il sadomaso, che la maggior parte dei supereroi è incontestabilmente gay (cosa che rende le battute sulle calzamaglie attillate banali e ridondanti) e ama sodomizzare a morte i propri nemici, che ogni storia è migliore se c'è una scimmia di mezzo e che esistono personaggi come Il Cannoniere o Green Lama (se il suo potere è il super-sputo verde, allora ho un amico che potrebbe salvare il mondo).
Ad arricchire il tutto ci sono i commenti esilaranti del tizio che cura il sito e che non mi fanno scollare da quelle pagine (il poverino continua a negare disperatamente che Batman sia homo, nonostante l'evidenza).
Per la gioia di grandi e piccini, ecco alcune delle immagini che preferisco:







16/09/07

Il mio nome è... il mio nome è... chi sono? dove sono?


Sean Connery piace un sacco alle donne. Più invecchia più piace. Oggi, a 77 anni, attizza molto di più rispetto a quando era un imberbe virgulto di 65 anni. L'ormai proverbiale fascino dell'uomo maturo nel suo caso raggiunge un nuovo livello, il fascino dell'uomo marcio. Le sue fans più maliziose sono solite perdersi in fantasie stuzzicanti. In casi estremi l'adorazione raggiunge livelli ossessivi e può essere considerata una vera e propria patologia che va affrontata e curata con l'adeguato supporto psichiatrico. Ecco la trascrizione di una registrazione che riguarda un caso piuttosto grave. Mi è stata donata, come favore personale, da un amico che si finge psicologo per ricattare ed estorcere somme di denaro agli ingenui clienti. Un doveroso ringraziamento, dunque, al dr. Salvatore "Scippo" Pesciotta.

[...] Mi trovo in cima alle scale. Indosso soltanto della lingerie di pizzo nera e delle scarpe col tacco. Guardo giù. Sean sta salendo le scale, lentamente. In realtà è il montascale motorizzato che va piano. Sean è seduto ricurvo sulla sedia a rotelle. Indossa degli spessi occhiali scuri e una vestaglia scozzese. Trema... forse è il parkinson o forse è anche lui emozionato e fremente come me. Finalmente, dopo un'eternità, raggiunge la cima delle scale e il ronzio del motore si interrompe. Mi avvicino per aiutarlo a spingere la sedia ma lui mi blocca con un gesto. "Faccio da me!" dice. E' strano, ha la stessa voce tremante e l'accento barese del mio nonno paterno... Comunque... Si alza a fatica. Mi indica un deambulatore e io glielo metto davanti. Lui lo afferra e s'incammina verso la camera da letto. Lo precedo e mi stendo sul letto. Nella camera c'è tutto l'occorrente: profilattici, viagra, pappagallo, bombola di ossigeno, defibrillatore... Sean supera la soglia. Sono eccitatissima, non sto più nella pelle. Mette da parte il deambulatore e raddrizza la schiena. Con un gesto deciso si sfila la dentiera e la getta via. Il cuore sembra volermi uscire dal petto. Si toglie gli occhiali. Mi accorgo che sta guardando verso il comodino, allora gli dico "Sono qui Sean". Volta la testa verso di me e sorride, mostrando il buco nero della sua bocca sdentata. Poi si avvicina, camminando da solo sulle sue gambe... si ferma ai piedi del letto... e... e slaccia la cintura della... della vestaglia... oh... poi, poi ne afferra i lembi... e la spalanca... La vestaglia scivola in terra... Io sono tutta un fuoco, mi sembra di morire... non riesco a staccargli gli occhi di dosso, osservo a bocca aperta il suo corpo pallido e rachitico e poi mi fisso lì, sul pannolone e... e mi sembra proprio che lì sotto si muova qualcosa! Forse il viagra non servirà!!!
Oh... oh mio dio... dottore, la prego... posso avere un bicchiere d'acqua?

13/09/07

Right and wrong


Gli ambidestri sono una razza superiore, lo dico con convinzione dal basso della mia inferiorità di destrìmano. Il mio lato sinistro è pressoché inutile (emisfero cerebrale compreso), la mia mano mancina un peso morto (causa di molti equivoci sull'autobus), un'appendice capace di espletare esclusivamente azioni elementari, come afferrare, sostenere, grattare e mandare affanculo. Gli ambidestri ci stracciano, ci surclassano e conquistano palloni d'oro mentre noi cerchiamo di estrarre con difficoltà una caccola mentre guidiamo. So che siete in molti nelle mie stesse condizioni, mezzuomini e non nel senso di hobbit e nemmeno di Vladimir Luxuria.
Il punto è che non c'è niente che possiamo fare, se non farcene una ragione e cercare di correre ai ripari. Dal mio canto posso solo segnalare l'inutilità, se non addirittura la pericolosità, dello svolgere certe operazioni con la mano sbagliata.

Accorciare le unghie: ovvero il cubismo in punta di dita.

Mangiare gli spaghetti: è lo spaghetto che gira intorno alla forchetta o è il piatto che gira intorno al tavolo? E comunque no, non ho idea di come quelle vongole siano finite nella tua carbonara, non guardarmi così.

Sbucciare la frutta: ehi, che strano... la mela sta sanguinando...

Masturbazione: l'eccezionalità della sega mancina dovrebbe farti provare nuove emozioni. Ma la sensazione di estraneità è così forte da far sorgere il dubbio che anche il cazzo sia di qualcun altro.

Sparare: avevo mirato alle gambe, giuro!

Distribuire le carte: - Guarda e piangi... HO FATTO POKER! Tu che hai?
- Scala 40.

Fare origami: bello eh? L'ho chiamato "Pallina di carta".

Scrivere: e scoprire di conoscere il cirillico.

Radersi: Forse la basetta mi è venuta un po' alta. Altezza sopracciglia. Che vuol dire "Quali sopracciglia?"?! ......OH CAZZO!!!

04/09/07

DOMENICHE EXTRA #1 - Intervista agli autori, prima parte

La seguente intervista è estratta dal libro "Geni tali da stupire il mondo" di Erik Raperunzen, Edizioni Il Tafano.

Per la prima volta metto piede al Four Seasons Hotel George V di Parigi. Per la prima volta ho la fortuna di entrare in una suite regale. Per la prima e l'ultima volta vedo dal vivo due ragazze di un famoso gruppo pop passarmi accanto, ammiccando e sorridendo, per poi sparire in un'altra stanza. Nude.
Rimango a fissare la porta che si chiude alle loro spalle (nude) finché uno dei due uomini che sono venuto a incontrare non richiama la mia attenzione. Marco Dambrosio mi viene incontro raggiante, tenendo in braccio un barboncino poco socievole, Mucca IV. La sua stretta di mano è vigorosa e calorosa. Sono un po' imbarazzato e non so se per via della fugace visione di poco prima o per l'essere al cospetto di uno dei miei miti. Mentre Dambrosio mi versa da bere e mi chiede se ho fatto buon viaggio, io, sprofondato in un divano divinamente comodo, lo osservo con attenzione. La sua pelle del viso abbronzata e tirata, i capelli tinti di un biondo dorato, l'addome piatto che si intuisce sotto la vestaglia di seta, non sembrano quelli di un quasi settantenne. Del resto questo aspetto da multimilionario in lotta con il tempo non rispecchia che in parte la vita di un uomo che ha affrontato e superato due guerre, quattro matrimoni, un processo per molestie, una circumnavigazione del globo in solitaria su pedalò e un catastrofico flop cinematografico con il coraggioso kolossal "Bianco e nero senza bianco", opera sulla Guerra Civile americana vista con gli occhi di un bambino cieco. Questo gigante dalle mille vite siede dinanzi a me con un sorriso rassicurante e finalmente mi decido a dare inizio alla conversazione.


ERIK RAPERUNZEN: Prima di tutto sig. Dambrosio...
MARCO DAMBROSIO: No, no ragazzo, chiamami Marco.
ER: Oh, bene, Marco... prima di tutto, come sta?
MD: Mai stato meglio!
ER: Nessuna conseguenza per l'incidente?
MD: Incidente? Oh, ti riferisci a quel contrattempo con l'areo... (Due settimane prima il suo jet privato era precipitato a largo delle coste neozelandesi e Dambrosio, lanciatosi in tempo, era stato l'unico sopravvissuto. Non indossava il paracadute). Storia passata ormai.
ER: Per un uomo della sua età sembra davvero essere...
MD: Che intendi?
ER: Prego?
MD: Che vuoi dire con "un uomo della sua età"?
ER: Beh, Marco...
MD: Signor Dambrosio.

Veniamo interrotti da Irina Sukarov, assistente personale di Dambrosio nonché ex-moglie. Con l'aria un po' preoccupata ci annuncia che Angelo Macrì è arrivato. Prima ancora che Dambrosio possa replicare, Macrì irrompe nella stanza urtando la donna. Avanza barcollando e quando mi alzo per stringergli la mano l'odore che sento mi riporta in un attimo alla mente il fetore di un ostello di Bangkok in cui mi capitò di soggiornare in gioventù. Macrì si lascia cadere sul divano, farfugliando qualcosa. E' davvero lui l'autore di "Il nido del cuculo doveva essere bello grande", "Siamo quel che mangiamo - Una storia di cannibalismo" e l'ormai leggendario "Ma le pecore elettriche attirano la polvere?"? E' lui il vincitore del Nobel per la pece per la costruzione di una efficente rete stradale in Madagascar? Quest'ometto magro ma dal ventre gonfio, con gli occhi spenti, i pochi capelli lunghi e unti che gli cadono sul viso. Con uno sguardo rivolgo i miei muti interrogativi a Dambrosio e lui scuote la testa senza sorridere più.

ER: E' un piacere incontrarla sig. Macrì. Come sta?
ANGELO MACRI': Chi sei?
MD: Si è appena presentato...
AM: Non sarai un altro di "Rolling Stronz"?!
MD: E' qui per il libro.
AM: Odio i libri. Odio gli scrittori.
ER: Preferisce i fumetti?
AM: Preferisco il curling.
[Continua...]

CORRETE A LEGGERE IL PRIMO EPISODIO DI DOMENICHE QUI

03/09/07

Un ultimo salutino...

...che domani pomeriggio parto. Spero di riuscire a connettere il portatile il più presto possibile, senza problemi. Spero che questo trasferimento mi vada meglio del mio primo, nella nebbiosa Bologna. Io le partenze le soffro sempre, inutile negarlo.
Comunque makkox mi fa un bel regalo d'arrivederci, postando sul suo blog (mentre scrivo) la prima puntata di Domeniche, storia da me scribacchiata e da lui illustrata e attesa da tempo dai fan di mezzo mondo (l'altrà metà sono stupidi ignoranti invidiosi che gli puzza l'alito).
Qui da me troverete niente popòdimenoché degli splendidi extra, chicche per collezionisti che nel giro di qualche anno potrebbero valere milioni.
Ma siccome le pubblico sul blog non varranno un cazzo.
Si parte col primo extra adesso!