04/11/09

Il buon nome dei McLowry

Nigel McLowry s’impiccò nella torre est. Lasciò un biglietto:
“McLowry Castle è da tempo fonte di insostenibile imbarazzo. Nelle notti d’autunno sembra bucare la nebbia per avventarsi sui rari viandanti. Nei cigolii delle porte par di sentire i defunti graffiare con le unghie i loro sepolcri. I passi riecheggiano dalle profondità dell’inferno e la luce lunare penetra dalle vetrate tingendo di pallore funereo i volti dei visitatori.
Eppure nessuno spettro lo abita, caso unico nella contea.
Per questo lo lascio per non lasciarlo mai.”
Ora al suo posto v’è un campo da golf e dei lamenti risuonano alla buca 8.



























Mi sono intrufolato nel progetto del grandioso Hannes Pasqualini, "Cento storie, cento parole". Com'è facilmente intuibile dal nome, Hannes ospita nel suo blog racconti, ognuno dei quali consta esattamente di 100 vocaboli, scritti da alcuni fini cesellatori di parole (Raule, Campanella, Licata e il magico Cubber, che già in tempi non sospetti mi aveva stregato col suo blog). Adesso debutto anch'io, con questa storia sullo sfortunato McLowry. Ma ovviamente, il vero motivo per seguire il progetto sono le perle create da Hannes che accompagnano ogni storia. Chi sa di fumetto, sicuramente conosce già il prode Pasqualini. Gli altri vadano a rifarsi gli occhi.

p.s.: Ah, anche il mio raccontino precedente, "Vera", era un 100 parole, nato sull'onda creativa di tutto questo.

21/10/09

Vera



Da bambino ti amavo perché nessun altro osava farlo.
Perché le tue ginocchia erano sbucciate come le mie. Perché lanciavi le tue bambole sugli alberi e non t'importava se andavo a riprenderle.
Disegnavi giraffe variopinte e ti macchiavi le mani coi pennarelli.
Ridevo quando ridevi, senza mai chiedermi perché. E quando non lo facevi, e mi guardavi come un treno in corsa guarda un cane sui binari, mi veniva da vomitare.
Ma non sapevo niente di tutto ciò e nemmeno tu. Il mio rileggere quei giorni con gli occhi annebbiati è solo una menzogna preziosa. Per questo è così vera.

11/10/09

Il telefono


La prima di quelle telefonate arrivò una sera, l'ora in cui solitamente la donna si apprestava a coricarsi. Il primo squillo l'aveva fatta sobbalzare e quando al terzo aveva alzato la cornetta e detto "Pronto?" il cuore ancora le correva. All'altro capo c'era l'assoluto silenzio. La donna aveva chiesto "Chi è? Cosa vuole?" ma non c'era stata risposta.
La seconda telefonata arrivò dopo due giorni e il copione fu identico, e così la terza. Poi le chiamate si fecero più frequenti. La donna aveva provato ad urlare, a minacciare, a interrompere subito la comunicazione, ma gli squilli avevano continuato a piovere nel silenzio asciutto della casa.
Delle telefonate aveva ormai perso il conto quando, in un pomeriggio immobile come un gatto al sole, aveva cominciato a parlare col suo muto interlocutore. Gli aveva accennato delle incombenze domestiche che aveva sbrigato e quelle da sbrigare. Della carta da parati in camera da letto che mostrava, come lei, gli evidenti segni del tempo.
Nonostante il telefono squillasse sempre ad orari diversi, la donna ci aveva fatto l'abitudine. Lo raggiungeva senza fretta e appena alzata la cornetta cominciava a parlare.
Raccontò delle ciliegie acquistate al mercato, dello sceneggiato che seguiva alla radio, dei ragazzi che a notte fonda passavano in strada urlando sconcezze. Raccontò di un viaggio in Austria fatto da bambina, di sogni inquietanti che non comprendeva, delle mani dell'uomo che tanto tempo prima le scivolano lungo la schiena. Le parole sgorgavano da lei finalmente libere.
Raccontò la sua vita.
Le telefonate cessarono con lo stesso fragore con cui erano iniziate. La donna, spostandosi affaccendata per le stanze, gettava ogni tanto uno sguardo distratto all'apparecchio. Presto si trovò a passarvi accanto con lentezza, orbitando come un satellite attorno a un sole spento. In breve non potè pensare ad altro. Non sentiva più la radio o le grida sguaiate dei ragazzi, solo il cuore batterle sordo in gola.
Mise una sedia accanto al tavolino nell'ingresso. I primi giorni portò con sè un libro ma inciampava sempre sulle stesse righe e quasi non voltava pagina. Poi se ne dimenticò e non fece altro che stare seduta, fissando il telefono inerte. Il silenzo con cui aveva convissuto per lunghissimo tempo adesso le picchiava insopportabile nei timpani come un martello.
Quando la disperazione la riempì tutta fino a strabordare, la sua mano sinistra piombò sulla cornetta e la destra compose un numero.
Il primo squillo l'aveva fatta sobbalzare e quando la donna all'altro capo aveva detto "Pronto?" e dopo alcuni secondi "Chi è? Cosa vuole?", lei restò ad ascoltare in silenzio il silenzio.

05/10/09

A ciascuno il suo lutto



Il federalismo fiscale, si sa, è stato solo il primo passo di un radicale e necessario cambiamento che inciderà non solo sulle dinamiche amministrative ed economiche del nostro paese, ma anche su quelle sociali, andando a rafforzare le identità regionali e locali del territorio. Proprio in questa direzione si muove l'iniziativa che ha debuttato in occasione delle partite dell'ultima giornata del campionato di calcio: il lutto federalista.
L'iniziativa, che vedeva lo svolgersi del minuto di silenzio solo prima degli incontri con protagoniste squadre siciliane, a commemorazione delle recenti vittime di Messina, può dirsi complessivamente ben riuscita. Ad eccezione di un piccolo intoppo verificatosi a Bergamo, dove un colpo di testa dell'indisciplinato arbitro Rocchi ha costretto i giocatori di Atalanta e Milan e i tifosi padani tutti a unirsi nel ricordo dei caduti.
Al di là di questo perdonabile errore (che probabilmente con la moviola in campo si sarebbe potuto evitare), l'atto di cordoglio non si è svolto con successo in tutti gli altri campi, risultato che fa ben sperare per una futura riproposizione in occasione delle prossime sciagure federali. Già previste, anzi, nuove modalità di commemorazione ancora più caratterizzanti dal punto di vista culturale (nell'immagine "Un minuto di tammurriata" in ricordo delle vittime di Sarno).
Alle sterili polemiche (ma, occorre precisare, flebili e sparute) di coloro che evidentemente hanno tuttora una visione ottusa circa lo sviluppo del paese, è sufficiente rispondere ricordando che la Sicilia è una delle regioni a statuto speciale, con tutti i vantaggi che questo comporta. Tutta Italia si unisce al dolore di quelli che, in quanto speciali, simpaticamente amiamo chiamare terroni, ma che è giusto considerare soltanto "diversamente italiani".

03/10/09

Se fossi dedito al saccheggio



Ecco, se fossi seriamente dedito al saccheggio potrei affermare che ottobre non poteva cominciare meglio.
Certo, come spesso accade, anche nelle attività predilette capita di doversi sporcare le mani, figuriamoci se bisogna letteralmente tuffarsi nel fango, come in questo caso. Non nego che sguazzare nella melma non riporti a galla una certa gioia infantile, quando nel gioco spensierato ci si rotolava per terra totalmente incuranti dell'igiene personale. Ma se fossi dedito al saccheggio e potessi scegliere la calamità ideale, sicuramente opterei per il terremoto, evento che qui è lungamente atteso, da molti con rassegnazione e inquietudine, da altri come una ghiotta opportunità (di saccheggio). Il terremoto interesserebbe un'area immensamente più vasta, con ovvie conseguenze positive (per l'attività depredatoria): maggiore possibilità di scelta degli obiettivi; pari opportunità per tutti i predoni e quindi una competizione rispettosa e corretta; una confusione generale di ampia scala, ottima come copertura delle attività (un saccheggiatore professionista deve essere sempre pronto lì dove le istituzioni e i cittadini sono impreparati); i tempi lunghi necessari al ritorno alla "normalità" che consentono un saccheggio paziente e diluito, ecc.
Ma in questo campo non è possibile fare troppo gli schizzinosi e se quello che ci viene offerto è un fiume di fango, sarebbe un'imperdonabile scortesia rifiutare (se fossimo dediti al saccheggio).
Ovviamente nel fingersi volontari desiderosi di collaborare è quasi inevitabile trovarsi nella condizione di dover realmente prestare soccorso. In questi casi non c'è altro da fare che mostrar buon viso a cattivo gioco, diligentemente. Bisogna infatti sempre tener presente che il nostro paese offre innumerevoli e gratificanti opportunità di saccheggio (non che questo campo sia di mio interesse) e che la nostra provincia in particolare non può dirsi seconda a nessun'altra, anche grazie al prolungato, costante e imperterrito lavoro di tutte le istituzioni. In un momento di crisi globale come quello che stiamo attraversando, un saccheggiatore può considerarsi fortunato per le infinite e varie possibilità di occupazione, anche in ottica futura.
Naturalmente, se fossi dedito al saccheggio, sarei comunque contrario al Ponte sullo Stretto, il cui prevedibile crollo non offrirebbe nulla alla categoria, a fronte di un investimento enorme e senza ritorno.
Non sarebbe meglio investire quei fondi per costruire altre abitazioni nei letti dei torrenti, che nella nostra provincia di certo non mancano, o sui tratti della costa ancora colpevolmente intatti?
Ne gioverebbero tutti, in primis i comuni cittadini che per qualche anno avrebbero un tetto sulla testa, prima di essere spazzati via nell'accogliente abbraccio dell'amatissimo Mediterraneo, e conseguentemente noi saccheggiatori (non che io sia uno di loro).

30/09/09

Luglio, agosto, settembre nero

Che è successo?
Per prima cosa, a giugno, ho compiuto 30 anni. Trenta. E capite bene cosa vuol dire.
Non è stato traumatico come mi sarei aspettato, forse perché ero entrato nella fase depressiva in vista dello sciagurato traguardo con un buon lustro di anticipo. Così, giunto il fatidico giorno, in me c'era solo rassegnazione stemperata da discrete dosi di alcol.
So che molti vegliardi leggendo queste righe (sempre che ci sia ancora qualcuno a leggere queste righe, qualcuno non divorato del tutto dall'alzheimer) staranno agitando il pugnetto raggrinzito esclamando: "E allora che dovrei dire io?!".
Niente. Non dire niente che tanto non capirei. Hai lasciato la dentiera di là.

Luglio è passato tra sfide a biliardo ed euro perduti a rincorrere il superenalotto.
Agli albori d'agosto il clou della stagione, una rovinosa caduta in moto su un asfalto abrasivo al punto giusto, in una strada buia quanto i tempi che corrono. Niente di grave, contusioni, escoriazioni e il bottone del pantalone saltato via, fatto che mi costringeva ad affrontare quasi in desabillè i miei soccorritori, imbarazzato e sanguinante.
Ho trascorso incerottato, dolorante e zoppicante il mese più caldo.
Poi qualcuno ha bucato un paio di gomme della mia autovettura, ma son quisquilie e io so stare allo scherzo. Sono stato giovane anch'io.
Di settembre ricordo soltanto il recente Cous Cous Fest nella ridente San Vito Lo Capo, rinfrancante e gastronicamente appagante esperienza di primo autunno.
Autunno, la mia nuova stagione preferita.
Ottobre, un mese in cui, lo sento, farò faville.
Che sia il mio turno di incendiare auto?

17/04/09

Peanolis

Certe volte salivamo alla pineta, quella di fronte alla scuola. Non è come la immagini, è una pineta di pochi alberi, il minimo sindacale. Una pinetina, ma ancora più piccola di quella dell'Inter. Quanti pini ci vogliono per fare una pineta?
Salivamo alla pineta perché lì c'erano le pigne, e dentro le pigne i pinoli. Non ci stavano ancora i drogati e gli spacciatori. O forse sì, ma avevano altri orari.
Andavamo a raccogliere i pinoli e tirare calci alle pigne. Capitava che le pigne cadessero dagli alberi, giù dritte sulla testa. Di questo però non sono certo. Colpa della botta, forse. Dare un calcio a una pigna, poi, può far male, soprattutto se è ancora fresca e piena.
Comunque, soprattutto, raccoglievamo pinoli. Rompevamo i gusci con un sasso e poi li mangiavamo. I pinoli, non i gusci. Non che mi facessero impazzire, e ancora adesso lo stesso. Sarà stato il gusto della ricerca. L'ebbrezza di procacciarci il cibo da soli. Per fortuna a casa ci aspettava un pranzo più sostanzioso.
Sì, perché ci andavamo certe mattine d'estate alla pineta. Quando il caldo spingeva le pigne giù dagli alberi, e noi su per la strada, fino all'ombra sempre fresca dei pini.

02/03/09

Ancora Desaparecida

Su afnews si parla ancora di "Desaparecida", la storia con cui io e Ross abbiamo partecipato al Prix Leblanc.
La cosa torna d'attualità a seguito della condanna all'ergastolo, emessa dalla Cassazione pochi giorni fa, del boia Astiz per l'assasinio di tre italo-argentini. La sentenza fa il paio con l'ergastolo emesso dalla Giustizia francese. Sarebbe bello se cominciasse a scontarne mezzo.

26/02/09

I capelli delle vecchie


I capelli delle vecchie son di colori strani, tipo quelli nei manga.
Quei colori che non esistono in natura e solo una scienza deviata e amorale ha potuto creare. È accanimento parrucchierico, va avanti da anni, ma nessuno fa niente. Nemmeno i parenti delle vecchie.
Non fanno nulla in difesa delle vecchie dalle chiome variopinte, non invadono con tempestosa furia le botteghe dei parrucchieri colpevoli, incutendo terrore nei corpicini dei coiffeurs e reclamando colori più umani e rispetto per 'ste vecchie. È una questione sotto gli occhi di tutti, accecante, eppure solo un incredibile disinteresse l'accompagna. Perfino la classe politica è immobile, nonostante le vecchie rappresentino una fetta appetibile e malleabile dell'elettorato, anche per la loro incapacità di distinguere i colori e i simboli. Nemmeno un decretino per loro.
Proprio nessuno le rispetta. 'ste povere vecchiacce.
Ma perché tutto questo? Perché quell'arancione fluorescente? Perché quell'azzurro cielo inquinato, quel rosso lupus? Perché quel viola nontiscordardiméoalmenotelefonaognitanto? Cosa spinge i parrucchieri a violare quelle teste vetuste?
E non ditemi "spingitori di parrucchieri", questa risposta non basta più.

21/01/09

Grandi Momenti Nei Discorsi Presidenziali

Dal 2006, ogni sera, a conclusione del suo monologo d'apertura, Dave Letterman ha lanciato un segmento di pochi secondi intitolato "Great Moments In Presidential Speeches". Di cosa si tratta è presto detto: a brevi spezzoni di discorsi di Presidenti passati di un certo carisma, gente del calibro di Kennedy, Roosevelt, Reagan, faceva seguito un esempio di pochi secondi della capacità oratoria di George W. Bush. L'effetto è indescrivibile, il nebbione che discende nella testa del povero Dabliu pare essere una costante nei suoi comizi, e sarebbe inevitabile rimanere basiti se non fossimo troppo impegnati a ridere.
Provare per credere. Adesso che la presidenza di Bush Jr. è terminata, Letterman ha trovato doveroso omaggiarlo con un video più lungo che riproponga il meglio di questi numeri d'alta comicità. Non importa se non conoscete l'inglese, nemmeno George lo sa.

10/01/09

Il primo malanno del 2009 (una recensione)

Cominciare con delle certezze, di questo c'è bisogno! I cambiamenti li lasciamo volentieri agli abbronzati, ai comunisti e agli interisti, che fino a pochi anni fa erano tutti la stessa cosa.
L'avere attraversato la fine dell'anno senza incappare in alcun malanno, ritto e inarrestabile mentre sulla mia testa una pioggia di virus saettava e tutt'intorno i miei compagni cadevano vittime di diarree fulminanti o emorragie di catarro e muco, ed io indenne e guizzante sulle macerie come il Capitan America dei tempi migliori, be', tutto ciò aveva insinuato in me più di una perplessità. Mai infatti la salute mi era stata così a lungo amica.
Fortunatamente con l'anno nuovo ho tirato un rantolo di sollievo e quella vecchia troia della Befana mi ha lasciato nelle calza una buona dose dei suoi acciacchi migliori. Premetto che il virus che vado a recensire non è quello che ha intrattenuto la maggior parte del pubblico con lunghe sedute ed effusivi abbracci alla tazza del cesso, bensì il suo goloso (faringeo per l'esattezza) gemello.
Parte subito forte, fiaccando ogni resistenza e facendo schizzare in modo usainboltico la temperatura corporea fino ai 38.5 °c, livello da cui non si smuoverà più se non per toccare di tanto in tanto nuove vette, nonostante lo smodato uso di antipiretico (che per via orale si dimostra tanto inutile quanto poco stuzzicante). Ma il clou della festa arriva, com'è giusto, in piena notte, quando una Compagnia di elefanti con scarpe chiodate che mette in scena West Side Story sulla mia zona lombare. Nonostante l'indubbio valore della rappresentazione (anche se non posso vederla, accompagno ogni grand jeté con gemiti di approvazione) il dolore supera ogni qualsivoglia gratificazione artistica e mi trovo costretto ad alzarmi, pretendendo camomilla, borsa dell'acqua calda, unguenti, seppuku, un posto da titolare in nazionale e la pubblicazione degli archivi segreti della CIA riguardanti la morte di Moana Pozzi. Soddisfatte quasi tutte le mie richieste (Lippi non ha mai saputo apprezzare i talenti con personalità), mi illudo di dormire.
Il secondo giorno la gola comincia a mostrare qualche indizio su dove stia il vero problema ma il virus continua il depistaggio catapultando in scena l'emicrania. Il dolore è lancinante, mi sento come se fossi Flavia Vento alle prese con una divisione a due cifre. Altra notte insonne e come unica consolazione Il conte Tacchia, che, ovviamente, non è di alcuna consolazione.
Il terzo giorno tutto resta invariato e mi convinco che passerò così il resto dei miei giorni, bruciando come olio grezzo in una raffineria o in una friggitrice di un McDonald. La barba lunga il ciuffo alla Elvis (se invece che per Las Vegas avesse svoltato per Woodstock e trascorso tre giorni rotolandosi nel fango e nel succo di gallinella) mi danno un'aria squisitamente decadente che non mi lascia indifferente.
Il quarto giorno il climax e il colpo di grazia: la gola è più infiammata della striscia di Gaza. Le preghiere del Papa cadono nel vuoto e si decide invece di intervenire con un'azione diretta e ripetuta di Idosan Gola Action. Mi dico che la protagonista di Gola Profonda si sarebbe sentita così se la pellicola l'avesse girata Warhol in un'ininterrotta inquadratura di 36 ore.

L'esperienza è nel complesso molto varia e ricca di alterazioni e fastidiose sorprese che contribuiscono a tenere sempre vivo l'interesse e in fin di vita il paziente.
È una malattia con carattere, un po' dura al primo impatto ma sicuramente accessibile a tutti, adatta ad ogni palato e che in definitiva ha tutto quello che ci si può aspettare e nelle giuste dosi.
Non vi deluderà.

Voto: 38,5

(after Lester)